Fondazione Telethon investe da sempre negli studi su questa rara malattia genetica di cui si celebra il mese di sensibilizzazione.

Laura combatte ogni giorno con la Charcot-Marie-Tooth

Prende il nome dai tre medici che per primi l’hanno descritta ed è considerata una delle malattie genetiche più diffuse: è la malattia di Charcot-Marie-Tooth, patologia dei nervi periferici che oltre al movimento e alla sensibilità può compromettere anche l’equilibrio, il senso del tatto e la percezione del dolore. Spesso è definita come un “handicap invisibile”, perché le difficoltà non sono sempre evidenti o vengono sottovalutate: da qui l’importanza di far conoscere questa patologia il più possibile, agli operatori sanitari in primis ma anche alla cittadinanza generale.

La Federazione Europea per la Charcot-Marie-Tooth ha scelto il mese di ottobre per la sua campagna di sensibilizzazione, a cui ha aderito anche l’associazione italiana ACMT-Rete. «La Charcot-Marie-Tooth è una malattia ‘rara ma non troppo’, purtroppo ancora poco conosciuta e riconosciuta, spesso anche dal personale medico. Con questa campagna, che coinvolge otto nazioni europee, puntiamo ad aumentare la conoscenza di questa malattia e ridurre l’errore diagnostico, affinché i pazienti possano avere un adeguato trattamento» ha dichiarato la presidente Donatella Esposito.

Fondazione Telethon è storicamente molto impegnata nella ricerca su questa patologia: ad oggi ha sostenuto oltre 60 progetti di ricerca, per un totale di 12,7 milioni di euro investiti. Inoltre la Fondazione ha contribuito in collaborazione con l’associazione a creare un registro dedicato, che fa parte del Registro dei pazienti con malattie neuromuscolari: una preziosa raccolta di dati anagrafici, genetici e clinici di persone affette da CMT utili a fini sia epidemiologici che di ricerca, nonché per accelerare lo sviluppo di nuovi trattamenti.

Nell’ambito del bando 2019 è stato finanziato un progetto dedicato a questa patologia coordinato da Maurizio D’Antonio del San Raffaele di Milano dedicato alla forma 1B della patologia. «Delle numerose forme di questa patologia, per la quale sono oltre 80 i geni noti, questa è davvero particolare – spiega il ricercatore -. La CMT1B è dovuta a mutazioni nel gene che codifica per la proteina zero della mielina, importante per un corretto sviluppo del rivestimento isolante dei nervi che assicura la trasmissione del segnale nervoso dal cervello fino alla periferia. Difetti in questo gene sono associati a una forma a esordio precoce della malattia, tra l’infanzia e l’adolescenza, caratterizzata da progressiva perdita della mielina e successiva degenerazione delle fibre nervose, o assoni. Esistono però anche delle mutazioni in questo stesso gene che portano a una forma a esordio molto più tardivo, intorno ai 50 anni, ma che poi possono progredire velocemente, costringendo alla carrozzina nel giro di 10 anni. Ebbene, inspiegabilmente in questi pazienti, almeno inizialmente, non si osserva alcun danno alla mielina, ma solo la degenerazione degli assoni: il motivo di questa differenza non è ancora chiaro, ma studiandolo grazie al finanziamento Telethon speriamo di capirlo e individuare così delle potenziali strategie terapeutiche».

Se per le forme a esordio precoce della CMT di tipo 1B esistono infatti già dei farmaci in fase di sperimentazione clinica nell’uomo che D’Antonio e i suoi collaboratori hanno contribuito a individuare, per quelle a esordio tardivo non c’è ancora un approccio terapeutico efficace in vista. «In particolare ci stiamo concentrando su un gene, SARM1, che sappiamo essere determinante per la degenerazione degli assoni e che è già nel mirino di diverse company che si occupano di patologie degenerative che hanno questa caratteristica, come per esempio la sclerosi laterale amiotrofica ma anche la neuropatia diabetica o quella associata alla chemioterapia antitumorale – continua D’Antonio -. Studiando a fondo nel modello animale i meccanismi molecolari potremmo capire per esempio se sarà possibile “mutuare” per questa patologia rara approcci terapeutici che nel frattempo si siano rivelati efficaci per altre. La pandemia ha notevolmente rallentato il nostro lavoro in laboratorio, ma contiamo di recuperare presto i mesi perduti».

È proprio al gruppo di D’Antonio e ai suoi collaboratori Laura Feltri e Lawrence Wrabetz – attualmente negli Usa presso l’Università di Buffalo – che si deve lo sviluppo dell’unico modello animale disponibile per la CMT 1B a esordio tardivo e che riproduce fedelmente la patologia umana. Per confermarlo in maniera puntuale i ricercatori si avvarranno anche della collaborazione di Davide Pareyson, neurologo partner del progetto, che all’Istituto neurologico Carlo Besta segue diversi pazienti con questa forma. «Grazie alla caratterizzazione di questi pazienti dal punto di vista genetico e clinico e alla possibilità di studiare i loro campioni biologici potremo comparare le fibre nervose dei nostri modelli animali con quelle umane e avere la conferma che ciò che osserviamo in laboratorio riproduca quello che succede nelle persone affette: questo renderà molto più solidi i nostri dati e ci permetterà di velocizzare il passaggio verso l’eventuale sperimentazione clinica» conclude D’Antonio.