La famiglia del bambino di 5 anni ha avuto la diagnosi quasi per caso dopo un lungo periodo di incertezze.

Maksim è un bambino di 5 anni, biondo, con le orecchie leggermente più grandi degli altri, la fronte alta e sporgente e il viso allungato. Dettagli fisici comuni a tante persone, ma che nel caso di Maksim confermano visivamente la diagnosi di sindrome del cromosoma X fragile, la forma più comune di disabilità intellettiva ereditaria.

Come spesso succede però, l’aspetto fisico, che nelle malattie genetiche rare può essere un campanello d’allarme, nel caso di Maksim non ha destato sospetti nei medici, che nel corso degli anni lo hanno visitato. Così come neppure il fatto che il bambino avesse iniziato tardi a camminare, fosse ipotonico e non parlasse neppure una volta raggiunti i 3 anni, se non per dire “mamma” e “papà” ma totalmente fuori contesto.

«Non sapere cosa avesse mio figlio è stato terribile – racconta mamma Chiara – vedevo che c’era qualcosa in lui che non andava. Alle volte arrivavo ad aver paura perché non lo riconoscevo più, non mi sembrava il mio bambino. Una volta ricevuta la diagnosi di sindrome dell’X fragile per me è stato tutto un percorso in discesa, mi sono sentita finalmente più tranquilla».

La diagnosi alla fine Maksim l’ha ricevuta grazie a sua zia, una delle sorelle di Chiara, che non riuscendo a restare incinta, dopo diversi esami e tentativi, ha fatto il test per la sindrome del cromosoma X e ha scoperto di esserne portatrice. Cosa che poi hanno scoperto di essere anche Chiara e sua madre. Maksim è l’unico che ha sviluppato la malattia nella famiglia.

«Ricordo ancora la telefonata di mia sorella, mentre lei mi diceva di essere portatrice della malattia io avevo già iniziato a cercare su internet informazioni sulla Sindrome e più leggevo, più capivo che Maksim aveva quella malattia».

Dopo un mese l’ipotesi di Chiara viene confermata dal test genetico. Chiara reagisce alla notizia attivandosi immediatamente. È una donna che ha bisogno del confronto e del dialogo, per questo ha cercato subito l’Associazione Italiana Sindrome dell’X Fragile, instaurando un rapporto telefonico quotidiano con molte mamme.

Oggi Maksim, che porta il nome di un pallavolista russo, dopo tanta logopedia ha iniziato a parlare. Comunicare le sue emozioni e i suoi pensieri lo fa essere più calmo. È un bambino socievole, ma la malattia lo porta alcune volte ad essere molto fisico e ad avere dei comportamenti tipici dello spettro dell’autismo, come lo sguardo sfuggente, lo sfarfallio delle mani e atteggiamenti ripetitivi.

Mamma Chiara, educatrice di asilo, e papà Stefano, allenatore di pallavolo, lavorano ogni giorno sulla sua autonomia. «Cerchiamo di trattarlo come un bambino qualsiasi, lo portiamo ovunque, anche al supermercato o in pizzeria, nonostante gli sguardi della gente. Il nostro obiettivo è renderlo il più autonomo possibile, soprattutto in vista del futuro».

Sull’importanza del ruolo della famiglia nei ragazzi e nei bambini con ritardo cognitivo, come Maksim, Chiara sta scrivendo la sua tesi di laurea specialistica in scienze pedagogiche. Partendo dalla sua esperienza personale, ha capito quanto siano importanti, oltre alle terapie con i professionisti, anche gli stimoli che i bambini e i ragazzi ricevono in casa.

A dare input continui a Maksim e a prendersi cura di lui, come una vera “mammina”, c’è anche sua sorella Aida di 4 anni. I due sono molto uniti, si vogliono un gran bene. Aida, consapevole di non poter fare molti giochi con il fratello, accompagna Maksim nelle sue passioni: l’acqua, l’orto, le galline e i giri in bicicletta.